Quante volte capita di sentire dire che la verità è una, unica, oggettiva, indiscutibile. Quante volte le persone si affannano nella sua ricerca, scrutando angoli nascosti della propria e dell’altrui memoria fino alla assoluta certezza di avere trovato “i fatti”, così come sono accaduti, quelli “veri”.
La verità, invece, è assolutamente sfuggente, relativa, inafferrabile, non data ma costruita, non immutabile ma rielaborata e in continua costruzione.
Nelle storie delle persone che ascolto, non trovo mai “fatti”, ma bellissimi lavori in cui azioni, parole e avvenimenti si mescolano con la modalità di funzionamento della persona stessa, con la sua sensibilità e il suo modo di provare emozioni, con le sue difese e la sua personalità, con i suoi affetti e le sue vicissitudini, con la sua sfera cognitiva e con quella emotiva. Vere e proprie costruzioni, talvolta grandiose e imponenti come grattacieli, altre piccole e fragili come capanne, che mi piace osservare e analizzare per poterne carpire i segreti di costruzione, tutto ciò che portano con sé.
La verità è perciò sempre la propria verità, è quella verità che caratterizza i racconti personali e soggettivi dei pazienti, che porta con sé tutta questa ricchezza. La verità dei pazienti è un grande dono, perché con essa porgono a noi psicologi una parte preziosissima di sé. Noi, dal canto nostro, possiamo aiutare i pazienti a “fare ordine” nelle loro verità, costruendo nuovi significati e punti di vista, portando alla luce i tasselli mancanti e permettendo di sperimentare nuove, più serene prospettive.